"EUROPE DIRECT" -- PROSPETTIVE FINANZIARIE 2007-2013 E ORIENTAMENTI STRATEGICI
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La
nuova generazione dei programmi per la coesione per il periodo
2007-2013 ruota intorno ad alcune proposte di riforma, improntate ad una
serie di idee che costituiscono le priorità della nuova Strategia di
Lisbona per la crescita, l’occupazione e la competitività.
Gli orientamenti strategici della Commissione, presentati all’incontro informale dei Ministri sulla politica regionale e la coesione territoriale, tenutosi il 20 e 21 maggio a Lussemburgo, permetteranno agli Stati membri e alle regioni d’Europa di elaborare e definire le loro strategie nazionali e i nuovi programmi di sviluppo intorno a cinque grandi priorità connesse all’Agenda definita a Lisbona nel marzo 2000:
1) migliorare l’attrattiva delle regioni e delle città;
2) promuovere la crescita economica attraverso la ricerca e l’innovazione;
3) favorire il più ampio accesso al mercato del lavoro;
4) rafforzare la coesione territoriale tra città e zone rurali;
5) migliorare la governance a livello amministrativo e la performance economica degli Stati membri.
Obiettivo finale dei nuovi orientamenti strategici della Commissione è non solo lo sviluppo delle regioni, ma anche la coesione dei territori dell’Unione europea in conformità con gli orientamenti adottati a Lisbona. Le 254 regioni dell’Unione europea possono svolgere un ruolo fondamentale nell’ambito del nuovo partenariato per la crescita e l’occupazione proposto dalla Commissione.
Per la Commissaria europea per la politica regionale, Danuta Hübner, “l’appropriazione della strategia per la crescita e l’occupazione da parte delle regioni determina migliori risultati nell’economia complessiva dell’Unione”.
Con i Fondi Strutturali ed il Fondo di Coesione, le regioni europee, che hanno già realizzato una serie di risultati previsti nell’Agenda, hanno maturato una solida esperienza nel promuovere un’economia più competitiva. L’esperienza acquisita, unita ad una maggiore responsabilità e partecipazione agli obiettivi di Lisbona, contribuirà ad un migliore rendimento all’economia europea, in termini di crescita e di occupazione. Questo è quanto sottolineato dai 25 membri del Vertice informale dei Ministri europei riunitisi a Lussemburgo. La nuova generazione dei programmi per la coesione non può basarsi su un’architettura ed un’impostazione univoca, ma deve tener conto di tutte le diverse esigenze e del diverso stadio di sviluppo delle regioni d’Europa.
Difatti, nel documento sullo stato di avanzamento della politica di coesione economica e sociale, presentato dalla Commissaria Hübner il 17 maggio scorso, risultano ancora molto accentuate le differenze tra le regioni, in particolare nei nuovi Paesi membri. Dal documento, che analizza la situazione delle regioni in termini di salario, occupazione e produttività, risulta che il 13% della popolazione dell’Ue15 si trova al di sotto della soglia del 75% del PIL medio; nell’Ue allargata a 25 ci sono 140 milioni di persone che vivono in regioni con un PIL inferiore al 75% del PIL medio dell’UE. Dallo studio si evince anche che, con una riduzione del bilancio europeo per il periodo 2007-2013, gli aiuti più a rischio sarebbero quelli che l’Ue ha destinato finora alla competitività e l’occupazione.
L’Unione europea ha l’obiettivo di colmare questo divario, seguendo la linea di una politica che finanzi, organizzi e coordini la coesione regionale e che adotti gli orientamenti decisi a Lisbona per la competitività, la crescita e l’occupazione.
In realtà l’attuale politica di coesione rischia di fare le spese nella battaglia degli Stati membri sulle prospettive finanziarie dell’Unione europea per il periodo 2007-2013.
Il 16 e 17 giugno il Consiglio europeo deve decidere. La questione più controversa del negoziato sulla ripartizione del bilancio dell’Unione riguarda, appunto, i fondi da destinare alla “politica regionale e di coesione”. Per affrontare le sfide della coesione, la Commissione aveva proposto 336,1 miliardi di euro, di cui il 79% (pari a 264 miliardi di euro) destinato alle regioni più povere nell’ambito del nuovo obiettivo “convergenza”, il 17% (pari a 57,9 miliardi di euro) alla “competitività regionale e occupazione”, il 4% (pari a 14,2 miliardi di euro) alla “cooperazione territoriale”. Con larga maggioranza il Parlamento ha appena approvato un pacchetto finanziario per la prossima programmazione di circa 1.000 miliardi di euro, di cui 110 per la crescita e l’occupazione, 338 per la coesione regionale, 392 per la preservazione e la valorizzazione delle risorse naturali, 16 per le politiche di cittadinanza, 63 per le azioni di politica estera.
Il negoziato sarà difficile: l’Europa deve dotarsi di mezzi finanziari adeguati a sviluppare le politiche di intervento per la riduzione dei divari economici, sociali e territoriali. L’aspetto più spinoso riguarda il livello delle risorse che i 25 stati membri dovranno versare nelle casse del bilancio comunitario. La Commissione temporanea del Parlamento europeo sulle sfide e i mezzi finanziari ha richiesto un livello medio dell’1,07% del PIL degli Stati membri. Si tratta di una proposta mediata tra quella della Commissione europea (1,24%) e quella proposta dalla presidenza lussemburghese, discussa il 22 maggio 2005 nella riunione straordinaria dei ministri dell’Unione, di un bilancio dell’Ue a circa 873 miliardi di euro equivalenti al 1,06% del PIL europeo. Quest’ultima, sostenuta dal gruppo dei sei Paesi del rigore (Regno Unito, Germania, Svezia, Francia, Paesi Bassi e Austria), risulta inaccettabile per l’Europa, l’Italia ed in particolare per il Mezzogiorno, in quanto non solo risponde al principio di solidarietà verso le regioni in ritardo di sviluppo, ma è anche in contrasto con la strategia di Lisbona e le priorità dell’Ue per la competitività e la coesione.
La proposta dell’Europarlamento per la politica di coesione e per la competitività, la crescita e l’occupazione riesce a contenere la perdita di risorse per le regioni in ritardo di sviluppo del 10-15% e non del 30%, come auspicherebbe la presidenza lussemburghese.
Sulla base delle statistiche Eurostat solo quattro regioni italiane (Campania, Puglia, Sicilia e Calabria) continueranno a beneficiare dei fondi per le regioni più in ritardo di sviluppo; ne usciranno la Basilicata, per effetto statistico, ossia per effetto dell’abbassamento della soglia di ricchezza in seguito all’ingresso dei dieci nuovi stati, più poveri, e la Sardegna, per effetto naturale della crescita economica.
Due i parametri che avranno un impatto decisivo sul livello di risorse da destinare alle regioni per gli aiuti strutturali: PIL e tasso di disoccupazione regionale relativo agli anni 2000-2001-2002, aggiornati all’aprile 2005. Da una simulazione dei servizi dell’esecutivo UE, l’effetto atteso dalla politica di coesione nel periodo 2007-2013 sul versante dell’occupazione è quantificato in due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro.
La cifra, che è lontana dall’obiettivo del 70% dell’occupazione lanciato dal Consiglio di Lisbona nel 2000, rappresenta uno step importante per rilanciare la crescita e lo sviluppo e ridurre il gap tra le regioni europee. Infatti, solo quattro Stati membri possono vantare un tasso di occupazione superiore al 70% (Danimarca, Olanda, Regno Unito e Svezia), quest’ultimo dato scende soprattutto nei nuovi Stati membri e nel Sud dell’Italia e della Spagna, dove il 15% della popolazione vive in regioni con un tasso di occupazione sotto la soglia del 55%.
In realtà, ridurre il livello degli interventi nella politica di coesione economica, sociale e territoriale dell’Ue, come vorrebbero alcuni, non solo non contribuirebbe ad un intervento efficace su tutte le regioni dell’Ue, ma sarebbe contrario allo spirito e agli sforzi compiuti finora nell’ottica dell’integrazione europea.
Sulla scorta dei risultati relativi agli strumenti della coesione nel 2004 e di fronte ad un tasso di assorbimento degli impegni e dei pagamenti del 100%, mai come ora è possibile affermare che i Fondi Strutturali, se utilizzati bene, possono contribuire allo sviluppo economico regionale e rafforzare le sinergie tra la politica di coesione e gli obiettivi di Lisbona.
Gli orientamenti strategici della Commissione, presentati all’incontro informale dei Ministri sulla politica regionale e la coesione territoriale, tenutosi il 20 e 21 maggio a Lussemburgo, permetteranno agli Stati membri e alle regioni d’Europa di elaborare e definire le loro strategie nazionali e i nuovi programmi di sviluppo intorno a cinque grandi priorità connesse all’Agenda definita a Lisbona nel marzo 2000:
1) migliorare l’attrattiva delle regioni e delle città;
2) promuovere la crescita economica attraverso la ricerca e l’innovazione;
3) favorire il più ampio accesso al mercato del lavoro;
4) rafforzare la coesione territoriale tra città e zone rurali;
5) migliorare la governance a livello amministrativo e la performance economica degli Stati membri.
Obiettivo finale dei nuovi orientamenti strategici della Commissione è non solo lo sviluppo delle regioni, ma anche la coesione dei territori dell’Unione europea in conformità con gli orientamenti adottati a Lisbona. Le 254 regioni dell’Unione europea possono svolgere un ruolo fondamentale nell’ambito del nuovo partenariato per la crescita e l’occupazione proposto dalla Commissione.
Per la Commissaria europea per la politica regionale, Danuta Hübner, “l’appropriazione della strategia per la crescita e l’occupazione da parte delle regioni determina migliori risultati nell’economia complessiva dell’Unione”.
Con i Fondi Strutturali ed il Fondo di Coesione, le regioni europee, che hanno già realizzato una serie di risultati previsti nell’Agenda, hanno maturato una solida esperienza nel promuovere un’economia più competitiva. L’esperienza acquisita, unita ad una maggiore responsabilità e partecipazione agli obiettivi di Lisbona, contribuirà ad un migliore rendimento all’economia europea, in termini di crescita e di occupazione. Questo è quanto sottolineato dai 25 membri del Vertice informale dei Ministri europei riunitisi a Lussemburgo. La nuova generazione dei programmi per la coesione non può basarsi su un’architettura ed un’impostazione univoca, ma deve tener conto di tutte le diverse esigenze e del diverso stadio di sviluppo delle regioni d’Europa.
Difatti, nel documento sullo stato di avanzamento della politica di coesione economica e sociale, presentato dalla Commissaria Hübner il 17 maggio scorso, risultano ancora molto accentuate le differenze tra le regioni, in particolare nei nuovi Paesi membri. Dal documento, che analizza la situazione delle regioni in termini di salario, occupazione e produttività, risulta che il 13% della popolazione dell’Ue15 si trova al di sotto della soglia del 75% del PIL medio; nell’Ue allargata a 25 ci sono 140 milioni di persone che vivono in regioni con un PIL inferiore al 75% del PIL medio dell’UE. Dallo studio si evince anche che, con una riduzione del bilancio europeo per il periodo 2007-2013, gli aiuti più a rischio sarebbero quelli che l’Ue ha destinato finora alla competitività e l’occupazione.
L’Unione europea ha l’obiettivo di colmare questo divario, seguendo la linea di una politica che finanzi, organizzi e coordini la coesione regionale e che adotti gli orientamenti decisi a Lisbona per la competitività, la crescita e l’occupazione.
In realtà l’attuale politica di coesione rischia di fare le spese nella battaglia degli Stati membri sulle prospettive finanziarie dell’Unione europea per il periodo 2007-2013.
Il 16 e 17 giugno il Consiglio europeo deve decidere. La questione più controversa del negoziato sulla ripartizione del bilancio dell’Unione riguarda, appunto, i fondi da destinare alla “politica regionale e di coesione”. Per affrontare le sfide della coesione, la Commissione aveva proposto 336,1 miliardi di euro, di cui il 79% (pari a 264 miliardi di euro) destinato alle regioni più povere nell’ambito del nuovo obiettivo “convergenza”, il 17% (pari a 57,9 miliardi di euro) alla “competitività regionale e occupazione”, il 4% (pari a 14,2 miliardi di euro) alla “cooperazione territoriale”. Con larga maggioranza il Parlamento ha appena approvato un pacchetto finanziario per la prossima programmazione di circa 1.000 miliardi di euro, di cui 110 per la crescita e l’occupazione, 338 per la coesione regionale, 392 per la preservazione e la valorizzazione delle risorse naturali, 16 per le politiche di cittadinanza, 63 per le azioni di politica estera.
Il negoziato sarà difficile: l’Europa deve dotarsi di mezzi finanziari adeguati a sviluppare le politiche di intervento per la riduzione dei divari economici, sociali e territoriali. L’aspetto più spinoso riguarda il livello delle risorse che i 25 stati membri dovranno versare nelle casse del bilancio comunitario. La Commissione temporanea del Parlamento europeo sulle sfide e i mezzi finanziari ha richiesto un livello medio dell’1,07% del PIL degli Stati membri. Si tratta di una proposta mediata tra quella della Commissione europea (1,24%) e quella proposta dalla presidenza lussemburghese, discussa il 22 maggio 2005 nella riunione straordinaria dei ministri dell’Unione, di un bilancio dell’Ue a circa 873 miliardi di euro equivalenti al 1,06% del PIL europeo. Quest’ultima, sostenuta dal gruppo dei sei Paesi del rigore (Regno Unito, Germania, Svezia, Francia, Paesi Bassi e Austria), risulta inaccettabile per l’Europa, l’Italia ed in particolare per il Mezzogiorno, in quanto non solo risponde al principio di solidarietà verso le regioni in ritardo di sviluppo, ma è anche in contrasto con la strategia di Lisbona e le priorità dell’Ue per la competitività e la coesione.
La proposta dell’Europarlamento per la politica di coesione e per la competitività, la crescita e l’occupazione riesce a contenere la perdita di risorse per le regioni in ritardo di sviluppo del 10-15% e non del 30%, come auspicherebbe la presidenza lussemburghese.
Sulla base delle statistiche Eurostat solo quattro regioni italiane (Campania, Puglia, Sicilia e Calabria) continueranno a beneficiare dei fondi per le regioni più in ritardo di sviluppo; ne usciranno la Basilicata, per effetto statistico, ossia per effetto dell’abbassamento della soglia di ricchezza in seguito all’ingresso dei dieci nuovi stati, più poveri, e la Sardegna, per effetto naturale della crescita economica.
Due i parametri che avranno un impatto decisivo sul livello di risorse da destinare alle regioni per gli aiuti strutturali: PIL e tasso di disoccupazione regionale relativo agli anni 2000-2001-2002, aggiornati all’aprile 2005. Da una simulazione dei servizi dell’esecutivo UE, l’effetto atteso dalla politica di coesione nel periodo 2007-2013 sul versante dell’occupazione è quantificato in due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro.
La cifra, che è lontana dall’obiettivo del 70% dell’occupazione lanciato dal Consiglio di Lisbona nel 2000, rappresenta uno step importante per rilanciare la crescita e lo sviluppo e ridurre il gap tra le regioni europee. Infatti, solo quattro Stati membri possono vantare un tasso di occupazione superiore al 70% (Danimarca, Olanda, Regno Unito e Svezia), quest’ultimo dato scende soprattutto nei nuovi Stati membri e nel Sud dell’Italia e della Spagna, dove il 15% della popolazione vive in regioni con un tasso di occupazione sotto la soglia del 55%.
In realtà, ridurre il livello degli interventi nella politica di coesione economica, sociale e territoriale dell’Ue, come vorrebbero alcuni, non solo non contribuirebbe ad un intervento efficace su tutte le regioni dell’Ue, ma sarebbe contrario allo spirito e agli sforzi compiuti finora nell’ottica dell’integrazione europea.
Sulla scorta dei risultati relativi agli strumenti della coesione nel 2004 e di fronte ad un tasso di assorbimento degli impegni e dei pagamenti del 100%, mai come ora è possibile affermare che i Fondi Strutturali, se utilizzati bene, possono contribuire allo sviluppo economico regionale e rafforzare le sinergie tra la politica di coesione e gli obiettivi di Lisbona.